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Autore GERTRUD di Carl Theodor Dreyer
mallory

Reg.: 18 Feb 2002
Messaggi: 6334
Da: Genova (GE)
Inviato: 22-12-2002 22:52  
L' ultima opera del regista danese,Gertrud,viola con riflessiva pazienza e spiazzante minimalismo,la preclusione dell'introspettiva attraverso il rapporto tra personaggio e scenografia;rapporto simbiotico riprodotto dalla sapiente messa in scena,che si libera della costrizione convenzionale del cinema,consentendo lo spazio necessario all'espletazione delle emozioni.
La regia concede,tramite l'essenzialità visivo-narrativa,la profondità dei sentimenti,che si liberano nello spazio della scena impadronendosi della macchina da presa,ora contemplante l'espressività di un volto,ora seguendo i lenti movimenti dell'anima;riproducendo i sentimenti,despoti incontenibili della scena,atti a regnare nei larghi piani.

Gertrud è la storia di una donna che ama,che ama costantemente,a discapito di quella vulnerabilità che,grazie alla consapevolezza,canalizza il dolore nella rassegnazione,celebrando la forza di quel cosiddetto "sesso debole",che si accosta ai fuochi delle passioni,bruciando coscientemente i propri timori e esalando l'essenza dell'amore.
Gertrud continuerà ad amare,nonostante le continue delusioni,e anche quando si rifugerà nella solitudine,simbolica morte,dirà:<Quando starò sull’orlo della tomba e mi guarderò indietro nella vita, dirò a me stessa: ho molto sofferto e spesso ho sbagliato, ma ho amato.>

Questa è la donna di Dreyer,che sia vampira,Giovanna D'Arco,una finta strega o Gertud,attraverso la solitudine,incarna la purezza delle passioni,passioni soffocate dalla vita e dal coordinamento delle manifestazioni,apportato dalla religione,dalla società e da ciò che non si conosce.

Il linguaggio cinematografico di Dreyer,costituisce con ascetismo estetico,una comunicatività stilisticamente riformista e intimamente esplicativa,capace di tracciare i lineamenti della sofferenza.
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Tristam
ex "mattia"

Reg.: 15 Apr 2002
Messaggi: 10671
Da: genova (GE)
Inviato: 23-12-2002 03:26  

il cinema di Dreyer è sempre stato qualcosa di troppo alto all'interno del panorama cinematografico internazionale.
Dreyer ha sempre avuto quella strana capacità di rendere ogni suoi film, di lungo o corto metraggio, qualcosa di imprendibile e di insostenibile per la mente critica.
Dreyer ha sempre e soltanto firmato film che sono dei capolavori oggettivi. Film dai quali è impossibile prescindere e dai quali è meglio fuggire per non sentire su se stessi, su tutti quelli che oltre parlare di cinema fanno cinema, una vergogna silenziosa e innarestabile.
Dreyer ha fatto pochi film. Pochi film in una vita di cinema, dedicata al cinema e alla sua strutturazione. è impossibile ritrovare nel mondo, forse solo Bresson ci si avvicina e magari Godard, quella leggerezza e intelligenza che tutti i suoi film lassciano nell'occhio e poi, subito dopo, nella mente, per giorni, mesi, anni.
Dreyer non era solo un regista. era un teorico, un "moralista" della pellicola. Un pensatore che il cinema lo prese e lo utilizzò secondo la sua personalissima concezione. scrisse molto e molto parlò, il resto lo fecero i suoi film. testimoni non soltanto quindi del suo più evidente pensiero ma anche concretizzazione reale di un cinema che non avremo più la possibilità di gustare in nessuno dei nuovi autori che ora tentano (confronto a Dreyer) di fare cinema.
Il cinema di Dreyer nasce nell'epoca del muto. dal muto origina tutta la sua principale idea di una messa in scena scarna, essenziale, ma forse romantica e struggente. Tutto il suo cinema è infatti percorso da un doppio registro di lucidità "cinica", fredezza, e amore dello spazio inquadrato. amore per il viso e per il movimento della macchina da presa. sempre calibrata e mai superflua ma allo stesso tempo incapace di trattenere un trasporto emotivo.
è quindi da una parte la fotografia e dall'altra l'approccio allo spazio inquadrato e da inquadrare in cui si potrebbero identificare i due temi principali del cinema di Dreyer...
temi vastissimi in cui è difficile costringere tutta la poetica del genio danese...ma temi di certo esemplari di cui molti hanno già accennato...
queste due tendenze sono sempre sistite, nel periodo muto come in quello sonoro, ed è forse proprio nella sua ultima fase che queste aumentano sempre di più fino a di ventare i pilastri della sua pratica.
tra il 1954 e il 1964, dieci anni, Dreyer firma, filma, due tra i suoi migliori film. Ordet e poi Gertrud.
e come dire,,,, il cinema non sarà mai più lo stesso.
meglio allora dimenticarli questi film che vederli ogni giorno davanti ai propri occhi. ma questi sono film che non si dimenticano e che ancora ti obbligano ad avere immagini, inquadrature, e le emozioni da queste suscitate, nella mente. per sempre forse.
Gertrud è un film sulla tristezza dell'amore. sulla fuga e sulla solitudine. un'intera vita di una donna, libera e aincatenata. un ritratto fragile e così delicato da lasciarti ammutolito. allora non sono solo la regia e la perfetta ambientazione a costruire il film, la stessa sceneggiatura tocca certi punti così simili alla vita umana difficili da poter egugliare in altri film. una commistione che muore con lo stesso regista...
Dreyer era il maestro. il padre del cinema autonomo. pensato e realizzato. cosa si può dire su di lui. io personalmente preferisco rimanere nel silenzio per ora e ricordare qui momenti in cui mi avvicinai a questo regista e ai suoi film da dimenticare.



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"C'è una sola cosa che prendo sul serio qui, e cioè l'impegno che ho dato a xxxxxxxx e a cercare di farlo nel miglior modo possibile"

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mallory

Reg.: 18 Feb 2002
Messaggi: 6334
Da: Genova (GE)
Inviato: 23-12-2002 13:23  
Mallory e Mattia....
come al solito...
stasera continuo nè...
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TINTOBRASS

Reg.: 25 Giu 2002
Messaggi: 5081
Da: Roma (RM)
Inviato: 23-12-2002 13:46  
"Gertrud", in fondo, è un melodramma. Un melodramma alquanto anomalo. Perchè anomalo? Per il semplice motivo che non si affida ai soliti stereotipi e "topoi" tipici del genere melodrammatico. Dreyer, in un certo qual modo, si rivela un Douglas Sirk freddo, alienato ed attento all'introspezione psicologica dei personaggi.
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"La giovinezza è una conquista dello spirito che si raggiunge solo ad una certa età" (Proust)


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badlands

Reg.: 01 Mag 2002
Messaggi: 14498
Da: urbania (PS)
Inviato: 24-12-2002 10:39  
so solo di aver tutti i film di dreyer in cassetta registrati qua e la,e che,promessa,inizierò a vederli,partendo da dier irae,che mi interessa molto per il tema,per poi passare a ordet.sperando solo di capire qualcosa,anche perchè son tutti coi sottotitoli,vedremo.
e meno male che qualcuno arla qui ancora di sta gente!
ciao!

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DottorDio

Reg.: 12 Lug 2004
Messaggi: 7645
Da: Abbadia S.S. (SI)
Inviato: 19-11-2005 00:06  
Dreyer comincia la sua carriera di cineasta col cinema muto dove assimila la lezione della "scuola espressionista" e comunica attraverso le espressioni dei personaggi accentuate dall'essensenzialità delle scenografie trovando il suo apice indiscusso nella passione di Giovanna d'Arco.
Con l'introduzione del sonoro Dreyer, pur rimanendo coerente al suo modo di fare cinema, introduce questa nuova tecnica con grande padronanza e dandogli sempre maggiore importanza con dialoghi memorabili come in Dies Irae e Ordet che letteralmente vuol dire Parola.
Con Gertrud la parola assume un'importanza ancora maggior ed è il mezzo comunicativo quasi esclusivo, difatti i personaggi quando parlano tra loro raramente si guardano in faccia e rimangono per lo più inespressivi proprio per non sminuire l'importanza dei dialoghi.
Già in Ordet i dialoghi avevano una grande rilevanza a discapito dell'espressività degli attori (basti pensare al modo distaccato che ha di parlare il "matto" Johannes), ma in Gertrud tale situzione è estremizzata quasi a proporre una scena teatrale, al limite del surreale.
La forza del film risiede proprio in questo, l'essenzialità della parola nell'approfondire la psiche e i sentimenti dei personaggi così come sono: la comunicabilità estrema dei pensieri e delle sensazioni umane.
Inutile dire che concordo con quanto detto prima di me dagli altri utenti...soprattutto con Tristam quando dice che Dreyer ha fatto pochi film ma tutti oggettivamente belli, anche le cosidette opere minori come Mikael e l'angelo del focolare sono film eccezionali e assolutamente meritevoli di appartenere alla grande "famiglia Dreyer"

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Hegel77

Reg.: 20 Gen 2008
Messaggi: 298
Da: Roma (RM)
Inviato: 21-07-2008 22:52  
Mi è sembrato un film portentoso, che nasce in sordina e poi in un crescendo emotivo, arriva al culmine della poesia con un finale memorabile.
La visione dell'amore di Dreyer è poco consolatoria: l'amore comporta sempre sofferenza, i rapporti sono quasi sempre asimmetrici e rispecchiano le diverse aspettative e tendenze tra l'uomo e la donna. L'uomo tende ad essere libero, egocentrico (vedi il pianista), a volte concentrato troppo sul lavoro e la carriera (vedi lo scrittore e il primo ministro), più portato al soddisfacimento del piacere fisico (tutti e tre gli uomini di Gertrud). La maturazione fa capire a uno dei tre (lo scrittore) quello che si è veramente perduto.
Gertrud al contrario è coerente con sè stessa e fa quello che gli altri tre non hanno fatto durante il corso della loro vita: sceglie in piena coscienza, consapevole di pagare sulla propria pelle le ipocrisie di un mondo maschile superficiale e bloccato nella fase adolescenziale. Non è un caso che l'unico rapporto che rimane in piedi è quello con lo psichiatra parigino.
Recitato in maniera solenne quasi assistessimo a un opera lirica, con i protagonisi che non solo non si guardano ma in certi momenti sembrano ruotati in direzioni opposte, Il film si avvicina in parte al concetto di cinema teatro, ma riesce con pochi accorgimenti scenici e una caratterizzazione maniacale dei movimenti e dei gesti dei personaggi, a trasmettere una forza poetica dirompente.
In certi momenti sembra di assistere a un film di Bergman, ma basta quella porta chiusa nel final dopo la splendida poesia rivelatrice, a rivelare le intenzioni spirituali del regista danese.
Alla fin della vita ciò che conta è avere amato.
Anche se a senso unico
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Dare un senso alla vita può condurre a follie,
ma una vita senza senso è la tortura dell’inquietudine e del vano desiderio

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